domenica 26 febbraio 2012

La Babele nella testa

POSTATO dal prof d’italiano:

A chi è interessato alle lingue straniere, e ancor più a chi non ne è interessato, questo articolo apparso su la Repubblica il 23 febbraio 2012:
La Babele nella testa
Di Maria Novella De Luca
Sono affamati di lingue e di linguaggi, così come di contatti e di connessioni. Se non parli sei fuori, e non c'è traduzione su Google che possa aiutarti. Dagli iperpoliglotti in grado di imparare anche 18 lingue diverse, ai minipoliglotti che conoscono perfettamente due idiomi stranieri, il mondo dei giovani e dei giovanissimi, ma anche dei migranti e dei lavoratori globetrotter, sta riscrivendo le regole della comunicazione mondiale.
Una torre di Babele al contrario, dove le lingue si incrociano, si fondono, ma alla fine, questo è il risultato, ci si capisce e comprende sempre di più. È stata la Bbc a rilanciare nei giorni scorsi il tema del crossover linguistico, partendo dal libro di Michael Erard, Babel no more in cui lo studioso americano racconta le storie di alcuni (incredibili) e autodidatti poliglotti, capaci di parlare e comprendere trai 15 e i 18 idiomi.
Eccezioni a parte, il multilinguismo sembra essere diventato un bisogno primario delle nuove generazioni: il 67% dei polacchi e il 64% dei francesi contro il 48% dei tedeschi e il 43% degli italiani afferma di parlare (bene) altre due lingue oltre la propria. E in questo spiccano in Italia, come altrove, i "2G", ossia gli immigrati di seconda generazione, nati qui o arrivati da piccolissimi, ma da sempre esposti a doppi o tripli linguaggi. Una mescolanza che oggi fa registrare 7mila idiomi diversi nel mondo, ma destinata nell'arco del prossimo mezzo secolo ad assottigliarsi, se è vero che il 90% delle lingue viene parlato "soltanto" da gruppi inferiori alle centomila persone e circa 2.500 sarebbero a rischio di estinzione. Ma esistono delle caratteristiche culturali, ambientali, fisiche e neurologiche che permettono ad alcuni di raggiungere livelli eccelsi, mentre altri arrancano tutta la vita cercando di raggiungere un semplice "inglese scolastico"? Nel suo libro Michael Erard parla espressamente di un "hardware" neurologico speciale di cui sarebbero dotati i poliglotti da lui intervistati, insomma un "dono" di natura insieme a una vita vagabonda e a mestieri che li hanno obbligati a imparare sempre nuove lingue.
Andrea Moro, professore ordinario di Linguistica generale alla Scuola Superiore Universitaria Iuss di Pavia, allarga il tema e afferma che «possiamo spiegare con delle precise ricerche scientifiche quante lingue il cervello umano può imparare, quali sono quelle che metabolizza davvero e quali invece si aggrappano semplicemente alla nostra memoria». Una tesi anticipata nel suo libro I confini di Babele, nel quale non ipotizza affatto una fine della "torre" degli idiomi così come la descrive la Genesi, ma ne traccia i confini. Precisando che tutto inizia nella prima infanzia e si conclude nella pubertà, indicazione (impietosa) che non lascia dubbi su quanto si dovrebbe investire a livello scolastico sullo studio delle lingue.
Mentre invece, come sottolinea Linda Rossi Holden, docente di Didattica della lingua inglese all'Università di Modena e Reggio Emilia, «oggi in Italia, nonostante il bisogno di conoscenza di lingue straniere, il livello di insegnamento resta basso e le lingue riescono a impararle soltanto i ragazzi sostenuti economicamente dalle famiglie». E bisogna imparare a decifrare le sigle dei livelli linguistici europei per capire quando sia grande il problema dei giovani italiani, che nel 44% dei casi si presentano all'Università o peggio nel mondo del lavoro con un semplice inglese "scolastico".
Spiega Andrea Moro: «Fino alla pubertà le lingue si apprendono spontaneamente, passato questo periodo il cervello perde quella straordinaria plasticità e si devono utilizzare altri strumenti, ad esempio la memoria. Questo non vuol dire che passata l'età giovanile non si riescano più a imparare le lingue, ma i percorsi neurologici diventano meno automatici e facili. E uno dei motivi per cui gli italiani non parlano bene gli idiomi stranieri è proprio perché questi non vengono insegnati fin dall'infanzia». Ma Moro si spinge più in là: «Nel libro I confini di Babele quel che racconto è un esperimento fatto per capire come il cervello impara la lingue. Abbiamo osservato, attraverso la risonanza magnetica, quali aree venivano attivate a seconda degli stimoli linguistici forniti. E abbiamo visto che mentre con parole e frasi costruite in modo tradizionale, attraverso la sintassi, il cervello rispondeva incamerando e metabolizzando i contenuti, se fornivamo una lingua inventata, assurda, la risposta era diversa, come se quelle parole non venissero recepite. Questo per dire che il nostro cervello non può incamerare un numero infinito di lingue, ma c'è un confine».
Lo stesso Erard infatti, attraverso le interviste ai super-poliglotti riportate nel suo libro, parla di un limite, 10-11 lingue che si possono imparare alla perfezione, mentre tutto il resto fa parte delle cosiddette "conversazioni di sopravvivenza". Passando però dagli esperimenti alla vita di tutti i giorni, quello che emerge è che per destreggiarsi nella Babele dei nostri giorni, bisogna saper parlare, leggere e scrivere in due o più idiomi, a cominciare, e non c'è scampo, dall'inglese. Così infatti ha pensato Letizia Quaranta, giovane mamma poliglotta, che riapprodata in Italia dopo un po' di viaggi all'estero, ha deciso non solo di far crescere suo figlio bilingue, ma di condividere questo esperimento con chiunque fosse interessato a far imparare le lingue ai bambini fin dalla culla. Bambini che saranno cittadini del mondo. Ne sono nati un blog e un sito di successo Bilingue per gioco, dove attraverso un corso appositamente chiamato "Learn with mummy", si insegna ai più piccoli l'inglese fin dalla culla. Se conosci una lingua vivi una vita sola, se conosci più lingue vivi tante vite. Lo sanno bene i giovani dell'Erasmus che da più di due decenni girano il mondo per studiare almeno un anno in una Università straniera, tornando in Italia spesso con la consapevolezza, racconta Antonella, 21 anni, nel suo blog, che non appena presa la laurea bisogna andare via. «Negli ultimi anni - ammette con amarezza Linda Rossi Holden - i tagli di insegnanti e di ore hanno impoverito ancora di più l'insegnamento delle lingue nella scuola. Ma è tutta la società italiana refrattaria ad aprirsi alla cultura del multilinguismo: non esistono programmi sottotitolati, trasmissioni in lingua madre. Ricordatevi gli albanesi quando arrivarono in Italia: molti di loro già parlavano e bene l'italiano perché per anni avevano visto la nostra televisione».

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